Sulle false parole, vorrei portarne di vere
Un racconto breve di Cristian Caforio (V D), scritto in occasione del concorso ” La
Un racconto breve di Cristian Caforio (V D), scritto in occasione del concorso ” La legalità e l’etica del web: uso corretto e responsabile”, indetto dal Rotary Club.
Talvolta è come se avessi il costante timore che una guerra possa far crollare il mondo. E’ un assillante pensiero, che tedia la mia mente ogni qualvolta io riesca ad aprire gli occhi al mattino ed accorgermi di essere ancora vivo.
Cercare di consumare una tranquilla colazione è diventata un’ardua impresa: con occhi leggermente spalancati, lo sguardo in sovrappensiero, le labbra schiuse con disappunto e confusione, così leggo le notizie che colmano il nuovo social network, già definito da qualche sfegatato come il “social del decennio”, eppure avrei da ridire. Ormai è così facile dar vita a delle mode, è raro che qualcosa possa realmente durare per tanto tempo senza che venga sostituita da un nuovo modello, che magari non avrà niente di diverso.
Mi paiono semplici chiacchiere, alle quali tuttavia in molti riescono a credere e non vorrei perder tempo a chiedermi come si possa. Basterebbe una maggiore ricerca, un vero interesse per l’argomento, per comprendere quanto di vero ci sia e quanto di fittizio, eppure ci si accontenta del piatto servito. Siamo in balia della pigrizia.
Ed è per questo che la mia paura della guerra è forse insensata, è l’inerzia che porta avanti un mondo disgiunto dagli ideali ma congiunto dalla mancata azione. E mi spaventa l’idea di poter persino discuterne definendola una neghittosità che mai guiderà una rivolta.
«Un caffè… ed uno di quei tortini al cioccolato, la ringrazio». Pronuncio senza neanche degnare del mio sguardo la giovane cameriera della tavola calda in cui mi sono rifugiato. In realtà non si tratta di una comune tavola calda, bensì del punto d’incontro di gran parte dei cittadini del posto. Dai lavoratori delle fabbriche bisognosi di un’abbondante colazione per affrontare la giornata, ai genitori sollevati dall’essersi liberati dei figli lasciati a scuola, agli adolescenti. E non mancano i più anziani che, amanti delle tradizioni, non possono che incontrarsi puntualmente alla medesima ora nella tavola calda più antica della città.
Probabilmente ci si chiederà a quale categoria io appartenga; peccato non ritrovarmi in nessuna di loro, se non forse tra gli artisti. Perché sì, qui vi sono anche gli artisti, coloro che spendono ore seduti a bere e consumare qualcosa, approfittando del wi-fi gratuito affinché possano redigere i loro romanzi, i loro articoli, modificare le loro foto ed editare video.
Son- siamo gli intoccabili: si conoscono i nostri orari, le nostre ordinazioni (dunque la cameriera sarà anche nuova, altrimenti non avrebbe esitato a portarmi il caffè ed il tortino) e non osano disturbarci, poiché andrebbero a disturbare il nostro genio. Però, vorrei precisare, spesso neanche io mi ritengo uno di loro. Li ho osservati a lungo, così come ho tenuto conto degli altri, e non ho mai visto fra le loro mani una penna, una matita o una gomma, un taccuino o un semplice diario. Solo i loro laptop – e senza quegli strumenti, senza una connessione e tutti quei siti, non creerebbero niente. Non saprebbero neanche aprire un libro preso da una biblioteca, si perderebbero. Non li stimo molto, si sono solo cullati sulla comodità di Internet, finendo con l’impigrirsi.
Io mi ritengo un artista capace di non dipendere da quanto si possa trovare online, tuttavia ho voluto provare a giocare al ruolo del “web-artista”, se posso definirlo così, ed ho ricercato a lungo, trovando persino più di quanto pensavo possibile.
Conoscete Jane? No? Ottimo, è una mia peculiarità quella di adorare dipingere i tratti di qualcuno. All’apparenza è una semplice madre di due splendidi gemelli, di cui l’uno è l’opposto dell’altro. Da quel che so, gestisce un piccolo negozio di caramelle non lontano dal centro. Non potete immaginare quante grasse risate mi sia fatto trovando tra i meandri del web alcune sue foto segnaletiche. Certamente mi ci è voluto tempo, ma il tremendo dark web mi ha dato una mano. La sua fedina penale è colma di reati legati allo spaccio ed uso di sostanze stupefacenti. Non mi sorprende neanche che l’ultimo arresto sia dovuto ad una serie di minacce verbali e fisiche nei confronti di un agente di polizia.
E’ così strano come l’apparenza nasconda la vera essenza delle persone. Mi chiedo se il marito o i gemelli sappiano qualcosa, però quanto meno sappiamo da chi ha preso il gemello cattivo! ( … ) Chiedo perdono, è che non ridere non è facile, vorrei urlare la goduria che provo in tutto ciò, ma apparirei come un pazzo ed io non lo sono.
Oh! Adam è appena entrato! Non lo vedo da parecchio tempo, l’ultima volta ricordo solo fosse stato accusato di violenza domestica nei confronti della compagna. La notizia ci mise poco tempo a diffondersi nel web, inizialmente non vennero fatti nomi – peccato che la gente avesse collegato facilmente i piccoli indizi nei vari articoli, comprendendo chi fosse la vittima. Sarah, non penso di averla mai vista dal vivo, povera, dovette subire le violente vigliaccherie di Adam e le cattiverie su Internet di coloro che la accusavano di essere solo una delle tante che chiedevano attenzioni – una che non si faceva problemi a sotterrare la reputazione di un uomo.
Quei lividi? Trucco! Le lacrime? Indecente recitazione! Le accuse? Semplici storie.
Ed ora dov’è Sarah? Il suo corpo giace in una tomba. Durante il lungo processo che ha visto Adam protagonista, la vittima è stata messa in disparte – nessuno che si fosse premurato di chiederle come stesse. E dunque fu solo una l’opzione per lei. La peggiore. Eppure leggo ancora oggi commenti dai contenuti discutibili, secondo i quali quel gesto sarebbe stato solo parte del suo piano per ricevere attenzioni.
Una notifica.
E’ il messaggio giuntomi da “ L’innominato ”, un venditore che trae beneficio dagli affari del dark web, in cui ci si può scambiare di tutto… e tutti. Non che voglia seriamente acquistare qualcosa, tuttavia ho bisogno di parlarci ed accordare un eventuale scambio per poterne scovare il volto, lasciando il mio invece ignoto.
Con superficialità, mi aspetterei qualcuno dall’aspetto rozzo e volgare, privo di particolari cure. Eppure, come ho già detto, le apparenze ingannano parecchio. Potrei confondere questo Innominato per Jasper o Gillian, amici da una vita, che adorano dominare le strade con i loro camion. Ma no, questo Innominato deve avere un aspetto quotidiano, dev’essere qualcuno che mai potrei pensare si occupasse di certi servizi. Ma la risposta è ovvia: si tratta di Freddy, il proprietario della tavola calda, un uomo sulla quarantina, amichevole e simpatico, pronto a stringere la mano dei suoi clienti e farli sentire come se fossero a casa, ma iniziando a studiarlo un po’ meglio, ho notato come si guardi continuamente attorno e spesso porti nel retro con sé qualche cliente. Non immaginavo fossero queste le richieste speciali di cui tanto si vocifera.
Incredibile, no?
Lo vedo gustarsi la sua ciambella con piacere – peccato vi sia solo disgusto nel modo in cui si prende gioco delle sue studentesse. Parlo proprio del venerato professor Jefferson, un insegnante di letteratura al liceo della città. Tutti ne decantano le ottime qualità di mentore – peccato che hackerando il suo cellulare, costantemente fra le mani, ho avuto il disonore di leggere suoi messaggi privati. Eppure la storia di Sarah mi insegna molto di più.
Per quanto volessero ribellarsi agli abusi di potere dell’uomo, quelle studentesse oggi verrebbero lapidate dalla società, mentre lui la passerebbe liscia – giusto qualche graffio, che guarirebbe in poco tempo. Lo vedo sorridere così maliziosamente mentre morde la ciambella, convinto che questo suo gioco possa durare per sempre. Ed io rido maliziosamente osservandolo, così caro e lieto, e mi ci vorrebbe un solo secondo per rovinargli la vita, per rovinare le loro vite e no, lo ripeto, il pazzo qui non sono io!
Io sono solo un attento e metodico artista delle vite altrui. Ed in quanto tale, non voglio rappresentare una realtà fittizia – sarebbe semplice, significherebbe godere del piatto servito. Io voglio far conoscere quello che si trova dietro le maschere di tutti. E se lo faccio è perché loro hanno segreti, sono loro che uccidono, tradiscono, minacciano, nascondono a tutti la loro vera e pericolosa essenza.
Sarei un cittadino di ben scarso senso civico se permettessi loro di uscire da qui ancora un giorno e passeggiare, vivere le loro vite, tranquillamente. Loro non lo meritano!
Mi basterebbe premere un solo tasto, e quella guerra che tanto temo la provocherei io lo stesso. Mi guardo attorno sorridente, sentendomi un dio o anche di più, tutta questa pace e tranquillità la controllo solamente io! Controllo tutte le vite dei qui presenti e vorrei così tanto sgretolarle fra le mie dita, così fragilmente e lentamente da rendere tutto più doloroso…
«Che giochetti mi fai?» domando con un confuso sussurro, alzando un sopracciglio e cominciando a premere tasti alla rinfusa. Il computer si è spento improvvisamente, ma non voglio darmi per vinto: si tratterà sicuramente di una piccola coincidenza, basterà attendere qualche minuto – nessuno se ne sarebbe accorto.
Ma a quanto pare qualcuno lo ha capito quel che stava per succedere. Il computer riprende a funzionare, ma numerose finestre si aprono, diversi siti che mai avevo sentito nominare prima d’ora. Improvvisamente la web cam si accende – che il mio passaggio nel dark web mi sia costato l’ingresso di qualche virus nel laptop? Il momento peggiore nella vita di un artista, oserei dire! Ma ecco che un’altra finestra si apre: pare una sorta di Skype e quando una videochiamata comincia, ecco che vedo me stesso. Come se mi stessi chiamando da solo.
Comincio a perdere la pazienza ed il controllo della situazione; prendo a dare colpetti al computer, sollevandolo e sbattendolo con poca grazia sul tavolo; impreco perché ripristini le sue funzioni originarie.
A provocarmi più rancore è il fatto di vedere me stesso in quello stato, avvertendo gli sguardi altrui puntati indirettamente su di me. Il motivo? Qualunque dispositivo elettronico nella tavola calda trasmette quella stessa scena che si riproduce sul mio portatile. Sarebbe dinanzi agli occhi di tutti i presenti, se solo li sollevassero un po’.
Dopo dieci minuti, tutti leggono delle mie ricerche – ma non è per mano mia. Si tratta di un blog del tutto sconosciuto – Sei stato beccato! – e se in un primo momento ho creduto fosse una parte del mio stesso piano, come se avessi avuto un collaboratore occulto, poco dopo comprendo che il titolo si riferisce esclusivamente alla mia persona. Perché?
“ Mi fu detto di non essere capace a far niente e ci credetti e soffrii, lacerato ritrovai forza nel denunciare gli orrori dei quali voi tutti siete capaci. In un mondo in cui gli occhi spenti sui vostri volti si posano intrappolati su questi schermi: sulle false parole, vorrei portarne di vere. ”
Un bel messaggio, bell’intento.
Ho omesso di dire di essere stato io stesso un insegnante; potrei ritenermi un “bravo professore”; i miei studenti erano sempre preparati ed ispirati dalle mie lezioni, dalla passione che ci mettevo. Ma c’era lui. Andrew, l’unico capace di farmi sentire un totale fallito, la pecora nera del gregge, che non cercava neanche minimamente di impegnarsi. In un momento di rabbia, dopo l’ennesima scena muta in occasione di una verifica orale, oltre al voto insufficiente, decisi di punirne l’autostima con un “esaustivo” commento online sul sito dell’Istituto.
Fui io a dirgli di non essere capace a far niente, feci in modo che i genitori lo punissero e quando andò via dalla scuola, finalmente le mie classi tornarono ad essere le migliori. L’ho privato delle possibilità di una vita, non ho mai cercato di capirlo, né di aiutarlo. Ed ora una guerra è scoppiata. Una guerra è cominciata solo per rancoroso un commento online di qualche anno fa.
Cristian Caforio
V D – linguistico internazionale