Cancellare Dostoevskij, sarà la guerra?
“Essere russo è diventato una colpa, anche essere un russo morto”. Paolo Nori All’Università Bicocca
“Essere russo è diventato una colpa, anche essere un russo morto”.
Paolo Nori
All’Università Bicocca di Milano, lo scrittore Paolo Nori, classe 1963, traduttore, blogger e scrittore, nonché grande studioso della letteratura russa, avrebbe dovuto tenere un corso gratuito su Fëdor Dostoevskij, scrittore russo (1821-1881) autore di capolavori come “Delitto e castigo” o “I fratelli Karamazov”, per citarne alcuni. Ancor prima che il corso iniziasse, il professor Nori ha ricevuto una e-mail dell’Ateneo, in cui si chiedeva la sospensione del corso “per evitare ogni forma di polemica, soprattutto interna in quanto momento di forte tensione”, come riporta lo scrittore in una live su Instagram.
Nori si è detto chiaramente sconvolto da questo – a dir poco vergognoso – tentativo di censura da parte di uno degli atenei più noti d’Italia. Ha dichiarato che, nonostante un tardivo passo indietro da parte del rettorato, terrà il corso altrove. Può lo scoppio di una guerra, per altro voluta da una singola personalità che non persegue il bene della sua nazione, ma solo l’ambizione di intestarsi l’eredità di un impero che non esiste più, giustificare un tabù verso un popolo innocente, al punto di comportarne la cancellazione?
E’ pur vero che la cultura della censura – cancel culture – non è un’invenzione moderna: chi ha familiarità con la storia, sa che la censura veniva usata per negare l’espressione del libero pensiero per preservare l’ordine pubblico oppure l’immagine di un personaggio di rilievo. Eppure, parlarne ancora oggi fa un po’ effetto.
Sta di fatto che la damnatio memoriae è presente ancora oggi. Ma cos’è, esattamente?
Damnatio memoriae è il termine che veniva usato nell’Antica Roma per quel tipo di condanna che, in senso letterale, cancellava una persona, rimuovendone raffigurazioni, monumenti e talvolta anche documenti. Non si tratta di casi isolati: diversi imperatori romani come Nerone, Caligola, Dominiziano, o papi come Formoso, sono stati condannati con questa pratica. Anche nel nostro passato recente sono avvenuti casi di tentata censura in nome del politically correct: basti pensare a personalità come J.K. Rowling, famosa autrice della saga letteraria di Harry Potter, accusata di transfobia (discriminazione nei confronti delle persone transessuali); l’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, il cui account Twitter è stato rimosso dalla piattaforma durante le manifestazioni del movimento di Black Lives Matter; o ancora Cristoforo Colombo, i monumenti in onore del quale sono stati rimossi oltreoceano, insieme alla festività nazionale in suo onore, il Columbus Day, sostituito da un giorno in memoria delle popolazioni indigene d’America, sfruttate e massacrate dopo l’arrivo degli europei.
Ma torniamo a Dostoevskij. Proviamo ad immaginare che il tentativo di censura abbia realmente successo e che di questo autore non sia più consentito parlare… quanto ne soffrirebbe il bagaglio culturale degli studenti?
Dostoevskij, insieme a Tolstoj, è uno degli autori più conosciuti e significativi del panorama letterario russo, con una scrittura sorprendentemente vitale, ritmata e piena di riflessioni introspettive, tipiche del XIX secolo. I suoi romanzi sono intessuti di dialoghi e – soprattutto – monologhi interiori. Egli si distacca dai capolavori delle epoche precedenti, aprendo delle prospettive nuove sulla scrittura, studiando l’uomo con tutte le sue zone d’ombra. Senza di lui, la letteratura senza ombra di dubbio non sarebbe mai stata la stessa.
Questo porta a pensare a quante opere importanti ci son state negate nel corso dei secoli per colpa della censura, come ai tempi della Santa Inquisizione, che mise al bando opere del calibro del De Monarchia di Dante Alighieri e Guglielmo di Ockham di Niccolò Machiavelli – le quali, per fortuna, si son comunque salvate dalle grinfie del tempo.
Chissà quante altre opere altrettanto importanti non ci giungeranno mai per colpa della loro messa al bando, che da sempre ha puntato solo a negare la cultura e la libertà, se non il diritto, di allargare gli orizzonti di tutti noi.
Sentir parlare ancora di censura ai giorni nostri provoca una spiacevole sensazione di un tuffo nel passato, che non possiamo permetterci. Si avverte la retrocessione e il ciclico ritorno di ricorsi storici ed errori umani che sono all’ordine del giorno: dallo scoppio delle guerre, alla censura e all’illogica paura di un popolo che olpe non ha se non quella di essere russo, proprio come Dostoevskij.