Dalla lingua alla cultura, passando per lo schwa

L’italiano è una lingua flessiva, declina per genere pronomi, nomi, articoli, participi, aggettivi. Essendo una


L’italiano è una lingua flessiva, declina per genere pronomi, nomi, articoli, participi, aggettivi. Essendo una lingua non dotata di neutro e avendo inoltre una grammatica molto complessa, risulta estremamente complicato evitare di rivolgersi a qualcuno senza specificarne il genere. Motivo, questo, per il quale è invalsa la consuetudine di estendere l’uso del maschile per rivolgersi a un gruppo di persone misto, un collettivo composto da donne, uomini e persone di genere non binario.

Dibattiti recenti e sempre più animati hanno acclamato la necessità di una lingua più inclusiva, che non stigmatizzi pregiudizi di genere e che sia libera da parole discriminatorie, offensive o che evidenziano stereotipi che non hanno bisogno di essere rafforzati dalla lingua.

Di tale questione parlava già negli anni ‘80 Alma Sabatini, linguista e saggista:

Non vi sono dubbi sull’importanza della lingua nella «costruzione sociale della realtà»: attraverso di essa si assimilano molte delle regole sociali indispensabili alla nostra sopravvivenza, attraverso i suoi simboli, i suoi filtri si apprende a vedere il mondo, gli altri, noi stesse/i e a valutarli.

Le parole hanno un peso, sono specchio del nostro pensiero, rendono concreta la comunicazione tra individui ed è impensabile che la lingua stessa possa risultare offensiva, sessista, discriminatoria, poco inclusiva. Negli ultimi tempi sono state trovate le più svariate soluzioni per rendere la lingua italiana flessibile e aperta alla “collettività mista”, più nello scritto che nel parlato: l’utilizzo, a fine di parola, dell’asterisco * o della chiocciola @; la duplicazione di parola o lettera (tutte/tutti, bello/a) o ancora l’uso della y o della u sempre a fin di parola. Tali soluzioni, adottate da molti, risolvono il problema nello scritto ma non nel parlato: il caso più emblematico è rappresentato dall’utilizzo dello schwa, indicato con il simbolo “ə”.

Lo schwa “è un suono vocalico neutro, non arrotondato, senza accento o tono, di scarsa sonorità; spesso, ma non necessariamente, una vocale media-centrale”: così lo definisce la Treccani. Abbastanza complicato – ma non impossibile – da riprodurre nell’italiano parlato, esso è tuttavia il suono vocalico più utilizzato in inglese. 
Eppure, dato che lo schwa non compare nell’alfabeto italiano, non tutti credono sia la soluzione più adatta. C’è chi lo considera “una truffa che snatura la lingua italiana”, come ha scritto l’Accademia della Crusca, prendendo posizione nel dibattito e chiarendo che il genere grammaticale non corrisponde all’identità di genere. Non esistendo, infatti – come accadeva nel greco antico – il generale duale, in italiano ci si può riferire ad un collettivo misto utilizzando il maschile plurale “come genere grammaticale non marcato, e non come prevaricazione del maschile inteso come sesso biologico”.
Dopotutto, ha commentato sempre la Crusca, l’inglese ha rifiutato l’utilizzo del pronome neutro “it” per riferirsi a persone con identità non binaria – prova che forzare le regole linguistiche non è la soluzione adatta al tentativo, pur lodevole, di rendere sia lo scritto che il parlato inclusivi.

Eppure, “aprire” lo spazio linguistico permetterebbe di dare una rappresentazione più completa e plurale delle identità di genere, delle nuove istanze culturali , nonché dei cambiamenti in atto nella lingua e nei parlanti.
Il senso di adattamento è una caratteristica connaturata all’uomo, e come quest’ultimo anche la lingua muta e si evolve, in quanto dipendente dai parlanti e dalle circostanze storiche, sociali, culturali. Potremmo semplicemente dire che le lingue cambiano perché vengono usate: si tratta, pertanto, di un naturale processo evolutivo.
E’ lecito, quindi, dire che parole ed espressioni possono invecchiare? Che possono essere sostituite in conseguenza di mutate esigenze sociali e culturali? Ed è il caso di accusare l’adozione dello schwa di “snaturare” la lingua italiana?

fonte: neg.zone

Citando un docente del nostro Liceo, tra quelli che abbiamo intervistato per farci un’opinione in merito, “l’utilizzo dello schwa è superficiale, non risolve un problema che è culturale” – e lo stesso concetto, a suo avviso, si estenderebbe al tentativo ostinato di voler usare parole come dottoressa, avvocatessa, maestra d’orchestra in contesti accademici e lavorativi in cui è riconosciuta la forma al maschile. Un altro professore afferma che esso “distoglie ed è la risposta sbagliata ad un problema reale, ridicolizzando un tema serio, quello dell’inclusione, e stuprando la lingua italiana”.

Di tutta risposta, però, anche trai nostri docenti c’è chi crede che “il linguaggio si fa voce di nuove istanze sociali e lotte generazionali, cambia e si sviluppa continuamente, è una convinzione, non vi è nulla di assoluto e non è un’imposizione, è frutto di un accordo”. La realtà è percepita dagli esseri umani nello stesso modo poiché dispongono degli stessi mezzi conoscitivi, quindi qualsiasi dinamica sociale e culturale, lingua compresa, non è che una convenzione, la quale, in quanto mezzo atto a rendere possibile la comunicazione, può modificarsi.

Tanti linguisti hanno sollevato la problematica della pronuncia dello schwa, tuttavia – dice ancora un’altra docente – “il problema di pronuncia si può risolvere lasciando spazio all’identità linguistica”. Probabilmente mantenersi aperti e pronti alle variabili di una realtà in continua trasformazione, nonostante convinzioni difficili da lasciarsi alle spalle, permetterebbe di aprire un dibattito serio e concreto.
A tal proposito non solo la generazione Z ha dimostrato necessità di innovazione e cambiamento in ambito linguistico: “in merito allo schwa ed al tema del linguaggio inclusivo – afferma una docente di esperienza – in linea di massima sono aperta alle innovazioni, purché non stravolgano alcune certezze consolidate”.

Le questioni linguistiche sono cosa antichissima, da sempre affrontate in periodi storici di transizione, dal medioevo al barocco, al risorgimento. Quelle che viviamo sono, dunque, esigenze comunicative nuove che non riguardano un gruppo ristretto e che non si esauriscono nell’utilizzo o meno dello schwa. I momenti di confronto e di scambio di esperienze, le riflessioni e la maturazione di consapevolezza in questa materia sono e restano fondamentali, in particolar modo nel contesto scolastico.

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