La scuola è politica. Oltre il tabù
È giusto “fare politica” a scuola? È una questione che da tempo divide l’opinione pubblica
È giusto “fare politica” a scuola? È una questione che da tempo divide l’opinione pubblica ed apre diversi scenari. Tutto nacque da un tweet dell’ex ministro agli Interni Matteo Salvini, il quale esprimeva la sua soddisfazione per la presunta diminuzione dei docenti che a suo dire praticavano una vera e propria campagna propagandistica nelle aule.
Ma cosa è realmente la politica? Secondo il vocabolario Treccani, la politica è “la scienza e l’arte di governare, cioè la teoria e la pratica che hanno per oggetto la costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione dello stato e la direzione della vita pubblica”. La politica è l’arte e la scienza del governo. Riguarda tutti, perché ognuno di noi deve gestire gli “affari pubblici” con le proprie possibilità, attraverso la partecipazione e la cittadinanza attiva, e agire ai fini del benessere sociale. Si tratta di principi e valori che, così come fondano la società, ugualmente restano validi nelle istituzioni educative, perché una scuola, in fondo, non è altro che una riduzione in scala della società, una comunità di persone, insegnanti e studenti.
Tutti loro hanno diritti e doveri e condividono uno scopo unico: la convivenza basata sulla democrazia, il rispetto e la libertà di pensiero. L’articolo 1 del Testo Unico delle leggi sull’istruzione, al fine di esplicitare il principio della libertà di insegnamento stabilito dall’articolo 33 della nostra Costituzione,a questo proposito recita:
Ai docenti è garantita la libertà di insegnamento come autonomia didattica e come libera espressione culturale.
L’espressione di tale libertà è diretta a promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni là dove essi ricevono la propria educazione.
D. lgs. 16 aprile 1994, n. 297 , art. 1
Il divieto di parlare di politica in senso assoluto, in altri termini, non farà altro che aumentare tra i giovani la mancanza di idee chiare, costringerli a restare nella confusione e a ignorare ciò che sta accadendo nella realtà circostante. D’altronde, valori, conoscenze e orientamenti politici fanno implicitamente parte di ogni nostra espressione comunicativa; indipendentemente da qualsiasi norma e divieto, essi non si possono cancellare, poiché l’insegnante non è un automa.
Ogni giorno abbiamo a che fare con persone diverse e in una certa misura siamo influenzati dai loro pensieri. Un rischio di degenerazione del divieto di parlare imposto ai cittadini è il sistema di censura, che è l’abolizione della libertà di parola. L’art. 33 della Costituzione Italiana venne già messo in discussione nel 2011, quando venne decretato il divieto di fare propaganda politica nelle scuole, poiché si riteneva che i professori inculcassero le loro idee politiche negli alunni.
Che ci piaccia o meno, però, la scuola non appartiene ad un mondo parallelo, la scuola appartiene allo stesso mondo della politica. Vi sono troppi elementi che entrerebbero in conflitto qualora si volesse dissociare il concetto di scuola da quello di politica: basti pensare che le persone che determinano il destino della scuola sono i politici o un gruppo di politici.
La risoluzione ai problemi della scuola stessa dovrebbe essere ricercata attraverso la sua partecipazione sostanziale alla politica. L’obiettività dei professori, probabilmente, non si raggiunge omettendo la natura intrinsecamente politica dell’insegnamento o l’invito a esaminare criticamente l’attualità, bensì consentendo che i pensieri e la cultura degli alunni e dei docenti, in quanto cittadini partecipi della società, possano esprimersi liberamente e nel rispetto di quelli altrui, anche quando contrari.
Il dibattito culturale apre la porta al confronto e al dialogo. È certo che la scuola stessa parla di politica, quando si occupa di questioni sociali e umanitarie, quando allena i bambini ad aprire la porta al mondo per farsi carico dei suoi problemi e delle sue opportunità.
La scuola ha il potere di far riflettere e di contribuire alla risoluzione delle grandi questioni sociali; possiede e fornisce gli strumenti giusti per farlo, ma a patto che sia inclusiva e priva di tabù.
La trattazione di tematiche politiche non deve giustificare la propaganda, certo, ma è possibile – forse doveroso – che in una scuola si parli di come operano le istituzioni, la Costituzione, i partiti politici e i movimenti che animano la vita pubblica del Paese – come d’altronde lo stesso nuovo insegnamento di Educazione Civica richiede. Non è contraddittorio che il Ministero con un’apposita disciplina introduca le competenze socio-politiche tra gli argomenti di studio, mentre dall’altra parte sembra inibire il dibattito sul merito di questi stessi argomenti?
Paradossale, dunque, che nella scuola la politica rimanga un vero e proprio tabù, mentre il cattolicesimo, ad esempio, conserva saldamente il suo posto nei curricula di insegnamento, nonostante la scuola (come lo stesso Stato) dovrebbe essere laica. È dunque consentito avere dibattiti circa la religione, mentre è fortemente scoraggiato discutere di questioni politiche attuali. Perché questa controversia non viene dibattuta tra i docenti stessi?
A scuola si insegna e al contempo si impara a pensare, decidere, vivere insieme e accettare idee diverse dalle nostre. La scuola è un costante dialogo, sono gli stessi docenti ad apprendere ogni giorno nuovi concetti dagli alunni. Una scuola senza confronto, dialogo, riflessione e idee di incontro non è una scuola. Le abilità e le competenze che si acquisiscono nella scuola da sole non bastano. I giovani hanno la necessità di pensare in modo politico.
D’altronde dove sarei io, e altri studenti di scienze politiche, se la scuola non ci avesse educato alla politica?