Il sonno della ragione genera mostri
Esiste un nido – cucito con ago, filo ed ipocrisia – nel quale ci si
Esiste un nido – cucito con ago, filo ed ipocrisia – nel quale ci si rifugia, reclamando il diritto di libertà di parola nel momento in cui si infanga l’identità di un’altra persona. Per qualcuno un atto discriminatorio equivale unicamente a dipingere il bersaglio come un mostro, come un peccatore, un’oscenità innaturale da martoriare. Come se decidere anche solo di non concordare con ciò che l’altro rappresenta fosse lecito. Come se si trattasse di una scelta. Come se si avesse il diritto di essere d’accordo o meno con l’esistenza altrui.
Teniamo a mente che per ogni persona bianca, cis- ed eterosessuale che gode dei privilegi che le spettano solo perché parte di queste categorie, ce n’è una che non vi appartiene e che, per questo, verrà denigrata per strada, considerata mentalmente instabile, rinchiusa in centri psichiatrici al fine di “guarire”, verrà cacciata dal nido famigliare, non le sarà concesso un posto di lavoro o l’affitto di una casa. Potrà essere uccisa, torturata e lapidata di fronte al riso altrui, quasi fosse uno spettacolo circense.
L’emarginazione non si nutre solamente di odio lampante, talvolta è costruita in silenzio, lontano da occhi indiscreti, spesso tra le mura di una casa che casa non è.
I dati sulle violenze subite dai membri della comunità LGBTQ+ nei giorni del lockdown sono a dir poco allarmanti e aumentano se tra i criteri si considera l’appartenenza ad altre minoranze. È il caso della vera e propria caccia alle streghe che si è verificata nelle ultime settimane in Marocco, uno dei tanti, troppi, paesi al mondo in cui l’omosessualità è ancora considerata reato: una crudele ricerca a fine di linciaggio sulle app d’incontri. E certo non è, né purtroppo sarà, l’ultimo episodio.
Quindi, sforziamoci di ricordare.
Ricordiamoci le parole di esponenti politici che dichiarano orgogliosamente che “un figlio morto è meglio di uno gay”, o per restare nel panorama italiano, che un figlio gay “lo brucerebbero nel forno”; ricordiamoci dei due fantocci intenti a baciarsi, dati alla fiamme nelle piazze croate per “celebrare la famiglia tradizionale”; ricordiamoci dell’arcivescovo che ha definito il COVID-19 una punizione divina contro l’aborto, l’eutanasia e la comunità LGBTQ+; ricordiamoci le denunce inconcludenti perché “non c’è l’aggravante dell’omofobia”.
Ricordiamoci Zelimkhan Bakaev, morto seviziato a 25 anni in una Cecenia che per questa “follia” ha addirittura istituito dei veri e propri lager; ricordiamoci Matthew Shepard, lasciato agonizzare legato ad un recinto a 21 anni; ricordiamoci Alfredo Ormando, che nello stesso anno si è dato fuoco in Piazza San Pietro per denunciare l’intolleranza della Chiesa Cattolica; ricordiamoci Mariasilvia Spolato, una delle pioniere del movimento per i diritti degli omosessuali in Italia, che ha pagato il proprio outing con il tetto sulla testa; ricordiamoci Marielle Franco, uccisa dopo 38 anni di attivismo in Brasile; ricordiamoci Cameron Warwick, vittima di un odio che l’ha portato a togliersi la vita a soli 16 anni.
È una lista interminabile.
Sebbene io non possa citarvi tutti e tutte come meritereste, voglio dirvi grazie, con un sorriso triste e il sapore più amaro in bocca. Vi ringrazio per aver lottato per me – per lei, per lui, per loro – per tutti coloro che non hanno potuto farlo con le proprie forze.
Farò in modo che il vostro sacrificio non sia vano.
È il sonno della ragione ad aver causato i mostri. Non la libertà di amare. Non la libertà di esistere per come si è. È il seme avvelenato del male: estirpiamolo.
La vera lotta non è che una spinta di riscatto umano da tutte le nostre umiliazioni.
Italo Calvino
Adriana Capatina