Lo scrittore che ritrovò la sua piuma
Una “riflessione narrativa” di Cristian Caforio sui semi di speranza piantati dall’emergenza sanitaria Come uno
Una “riflessione narrativa” di Cristian Caforio sui semi di speranza piantati dall’emergenza sanitaria
Come uno scrittore che nel bel mezzo della stesura del suo miglior romanzo – il più importante, quello che più di tutti saprebbe rappresentare la sua persona, la sua anima ed essenza – termini l’inchiostro in cui intingere la piuma, che lentamente vola via alla più tormentosa delle folate di vento, così il virus ha apparentemente interrotto le nostre vite.
Ci ha colti tutti nell’istante in cui stavamo per far qualcosa: magari un viaggio organizzato da mesi, per il quale si provava tanto entusiasmo; magari, la preparazione degli Esami di Stato per gli alunni dell’ultimo anno di liceo, convinti di poter continuare a lamentarsi della convivenza scolastica fino alla fine dell’anno, salvo poi scoprire che dietro le litigate dal vivo e in chat, più forte di tutto si sarebbe rivelato il senso di unità e di affetto creatosi, talvolta inconsapevolmente, con il tempo trascorso fianco a fianco dei propri “compagni”.
Tutti presi dal vivere le proprie esistenze, spesso anche in modo molto consuetudinario: studiando, lavorando, occupandosi dei servizi di casa, guardando episodi su episodi di serie tv, cucinando, uscendo con gli amici, andando al cinema. L’isolamento e la quarantena sono piombati come un fulmine a ciel sereno, facendoci sentire ostacolati, imprigionati.
Tuttavia, lo scrittore ritroverà sempre altro inchiostro; ci sarà per lui una piuma differente, alla quale saprà dare valore e con la quale il suo romanzo troverà una giusta fine. Le nostre vite si sono scontrate con il virus come un’onda che s’infrange contro la riva, ma non perisce, non smette di esistere, ritorna, e continuerà a tornare ancora, e ancora.
Così anche noi ritorneremo a quelle nostre abitudini, quei nostri progetti, piccoli o grandi che siano. Certo, non tutto potrà essere recuperato. Questi ultimi mesi di scuola, ad esempio, resteranno per noi irrimediabilmente perduti. E tuttavia, la consapevolezza della perdita non annulla il resto, quello che verrà dopo, la promessa di futuro insita in tutti i rapporti e le amicizie maturati in questi cinque anni, che non spariscono, resistono, forse anche si rafforzano.
Esattamente, si rafforzano: perché è nei momenti di grande sconforto e difficoltà, in cui tutto sembra andar male, che si può trovare un senso, un lato positivo, un bagliore di speranza emesso da un faro da scorgere a lunga distanza.
Tante persone che incontravamo senza volerlo veramente, quasi fosse uno sforzo, diventano oggi un motivo per il quale voler uscire di casa, tornare ad abbracciarsi. Persone che si davano per scontate diventano sinonimo di supporto e ci si dà una mano a vicenda, perché in momenti complessi e difficili come questi, non ha senso condurre piccole guerre personali, quando se ne sta combattendo assieme una comune già tanto grande.
Certo, sarebbe stato meglio non dover affrontare questa “guerra”: i problemi del passato dovrebbero insegnarci ad evitare di ripeterli. Tuttavia, è anche vero che gli imprevisti fanno parte della nostra esistenza: vi sono situazioni inevitabili, che arrivano inattese, rispetto alle quali è il modo in cui si decide di affrontarle a fare la differenza.
Uno degli effetti manifestati dall’emergenza Coronavirus che sento d’aver apprezzato particolarmente è il valore di quanti hanno scelto di salvare delle vite mettendo a rischio la propria. Persone solitamente prive della ribalta, in secondo piano, e che invece in questa circostanza hanno dedicato intere giornate a soccorrere, dare sostegno, assistere a scene di esseri umani costretti a dire addio ai propri cari, quando non privati di questa stessa possibilità. Sono i medici, gli infermieri, coloro che in fondo più a lungo della maggior parte di noi rimarranno vittime di questa situazione – e che per questo meritano tutta la nostra gratitudine e la nostra ammirazione.
Una meteora ha ben più che sfiorato le nostre vite, le ha cambiate in modo improvviso, e sebbene non tutti ne siano stati colpiti direttamente, tutti ne siamo rimasti afflitti interiormente, avvertendo il senso di angoscia e di oppressione che la quarantena ha comportato. È stato bello, però, darsi una mano a vicenda; essersi supportati e anche un po’ “sopportati”; aver dedicato una parola di consolazione e di solidarietà per chi ha dovuto vivere una lunga separazione dalla propria famiglia o dalla persona amata, per chi ha visto amicizie cresciute nell’assiduità del contatto tradursi in incontri esclusivamente virtuali. Questo in fondo non prova che nulla può abbattere il sentimento di umanità, il bisogno di non essere soli?
Forse, e dico forse, qualcuno ha persino trovato, proprio in questo momento di timore e di negatività, una piuma su cui poggiarsi, una resistente piuma da intingere nell’inchiostro per dar vita a qualcosa di bello.
Magari qualcuno ha compreso di non essere una vera frana in cucina – solo non ci aveva mai provato per davvero – qualcun altro ha arricchito la propria collezione di libri o la propria cultura musicale; qualcuno ha recuperato quelle serie tv e quei film che non aveva ancora avuto modo di guardare; qualcuno, magari, pur di vincere la noia avrà imparato l’arte del cucito.
Torneremo ad uscire ed avremo molto da raccontarci. Torneremo ad abbracciarci per davvero, ma intanto attenderemo, cercheremo di farci forza e lotteremo. Solo in questo modo saremo capaci di distanziarci dall’unica cosa da cui valga davvero la pena allontanarsi: questo virus.