Foto di una raccolta rifiuti di un gruppo pro ambiente. Foto di Vittoria Suriano

Lotta per l’ambiente o fra ambientalisti?

Quando ad essere fatto oggetto di discussione è il tema dell’ambiente e della sua tutela,

Quando ad essere fatto oggetto di discussione è il tema dell’ambiente e della sua tutela, ricorre sempre più spesso l’espressione “punto di non ritorno”. Sembra, insomma, che siamo giunti in una fase critica del nostro rapporto con la Terra; una fase che richiede decisioni drastiche e radicali. Ma al di là delle formule preconfezionate, siamo realmente consapevoli di ciò che sta accadendo?

L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) già vent’anni fa ha stilato un elenco di “punti critici” riguardanti l’emergenza climatica, una serie di previsioni che in gran parte si sono già tristemente avverate, dalla distruzione della calotta polare dell’Antartide alla morte dei coralli nella grande barriera corallina.
Se dunque l’esistenza di una emergenza climatica è ormai nota a tutti, a parte pochi ostinati negazionisti, resta però la domanda su come fronteggiarla. Sul territorio agiscono quotidianamente associazioni o gruppi di volontari che si occupano di sensibilizzare quante più persone possibili: ma qual è il modo “migliore” per farlo?

In primo luogo, da più di un anno ormai, in tutto il mondo hanno luogo manifestazioni collegate tra loro: sono i cosiddetti Fridays for Future ideati da Greta Thunberg, che fungono da palco per quei giovani che, sentendo vicina la catastrofe ambientale, si sentono privati del proprio futuro.
Sorge però una domanda: coloro che partecipano a questa forma di protesta mondiale – il “global strike” – quanta attenzione all’ambiente manifestano nella vita di tutti i giorni? Qual è la ricaduta di questa mobilitazione nei comportamenti giornalieri dei singoli, dalla raccolta differenziata dei rifiuti alla limitazione nel consumo della plastica, fino a scelte di acquisto di prodotti eco-sostenibili?

Uno scorcio della manifestazione di Fridays For Future del 29 novembre. Foto di Luss Bucci

Dall’altro lato, vi è chi agisce localmente, qui e ora. A Taranto, ad esempio, da qualche tempo vi sono persone che volontariamente, attraverso un lavoro di pulizia e cura del decoro urbano, indirizzano e orientano la cittadinanza verso un percorso di rispetto del patrimonio ambientale: è l’esempio del gruppo di volontari Plasticaqquà Taranto, o del gruppo dei giovanissimi di Così parlò Zarabusta. Purtroppo, però, sembra che l’impatto istituzionale di questo tipo di iniziative sia limitato.

Anche l’approccio della scuola italiana, che negli ultimi tempi promuove sempre più progetti e conferenze sul tema, facendo un gran parlare di cura e tutela ambientale, rischia di rimanere astratto se non è in grado di tradurre queste tematiche nel quotidiano degli alunni. I giovani, infatti, non riescono a sentire proprie queste problematiche, se non vengono coinvolti in prima persona in attività di formazione pratiche, “sul campo”.

Molti, infine, decidono di agire da soli, senza tener conto dell’efficacia di altri modus operandi, fomentando una sorta di “guerra tra attivisti”, una competizione tra le diverse forme di impegno che distoglie l’attenzione da quello che è l’obiettivo comune. A che giova?

Dov’è, dunque, la verità? Agire singolarmente o far fronte comune? Chi è nel giusto?
Ci viene qui in soccorso il “giusto mezzo” aristotelico, che vede la verità nell’equilibrio tra gli estremi.
Quella ambientale è una battaglia che non si può vincere se non insieme; eppure, richiede che ciascuno si senta responsabilizzato e si impegni nella forma che sente maggiormente sua.

Clarissa Pignatale
Vittoria Suriano

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