Da Taranto a Itaca: fuga e ritorno
Capita spesso di sentire nostri coetanei affermare senza scrupoli di voler “fuggire” da Taranto, come
Capita spesso di sentire nostri coetanei affermare senza scrupoli di voler “fuggire” da Taranto, come fosse scontato vedere in essa una città sterile, che non offre ai giovani alcuna opportunità di crescere. Soffermiamoci ad analizzare le ragioni di una visione così negativa da parte delle giovani generazioni.
Questa prospettiva è in gran parte un riflesso dell’atteggiamento degli stessi tarantini, adulti in primis, tra cui anche alcuni insegnanti e genitori, che spronano sempre più insistentemente i giovani affinché lascino il territorio jonico, alla ricerca di un futuro per la speranza del quale a Taranto sembrerebbe non esserci posto.
L’educazione in seno alla famiglia è dunque un fattore fondamentale per comprendere la diffidenza dei giovani tarantini verso il loro territorio d’origine. “Tutto parte da lì” – mi racconta a tal proposito Aurora, 21 anni, ex operatrice del Servizio Civile Nazionale presso l’Istituto Maria Ausiliatrice – “Se io educassi mio figlio ad apprezzare quello che ha e a valorizzarlo, non penso che così tanti ragazzi sentirebbero la necessità di andar via”.
Ma non tutto, è evidente, può dipendere dall’educazione in famiglia. Perché, allora, sono così tanti a “non vedere l’ora” di andarsene? Ciò che non fa la famiglia, lo fa probabilmente la rappresentazione della città da parte di testate giornalistiche e agenzie di informazione nazionali.
Da anni ormai i media continuano ad identificare Taranto con il polo siderurgico e con il problema ambientale ad esso associato, mettendo da parte l’enorme patrimonio culturale, archeologico, folkloristico e naturalistico del territorio jonico e alimentando, in definitiva, il senso di rassegnazione già diffuso tra i cittadini.
Si ripete spesso, senza neanche pensarci troppo, che Taranto è una città priva di stimoli per i giovani; eppure, non mancano certo in città realtà associative, manifestazioni culturali, concerti. Ciechi e ignari di ciò che veramente accade intorno a noi, badiamo solo all’immagine che della nostra comunità ci viene mostrata dall’esterno, da chi tarantino non è, senza sforzarci di ricercare quel che la nostra città ha da offrire.
“Ignoranti” si definiscono spesso i tarantini, sottintendendo ovviamente che quell’aggettivo, “ignoranti”, si addice agli “altri” tarantini, a quei tarantini che noi non siamo. Siamo bravi, insomma, a criticarci senza mai metterci veramente in discussione.
Eppure, ignorante è chi non condivide il proprio sapere e la propria crescita culturale con gli altri. Ignorante è chi, del proprio sapere, non fa comunità. Come si può, allora, pensare di “guarire” l’ignoranza scappando, abbandonando la propria terra?
La speranza è che Taranto possa essere per noi ciò che per Ulisse era Itaca: la terra che si sente propria e alla quale si desidera un giorno fare ritorno, portando con sé tutto quel che si è imparato. Tornare dopo essersi allontanati, dopo aver portato, cioè, Taranto nei luoghi in cui siamo stati, a testimonianza che il nostro cuore, nonostante tutto, rimane rossoblu.